Musica: De Andrè

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Caio Logero
00lunedì 7 agosto 2006 19:21
Chiedo a quelli del forum: chi ascolta De Andrè e come lo valutate?

Personalmente io apprezzo moltissimo questo autore di altri tempi e di altra cultura, sicuramente molto meglio della spazzatura di musica commerciale odierna.

Di Fabrizio de Andrè adoro: "La Guerra di Piero" ; "Si chiamava Gesù" e "Il testamento di Tito".
!celeborn!
00giovedì 10 agosto 2006 18:46
Si bello De Andrè. Vi consiglio oltre a quelle citate da Caio anche Don Raffè, Carlo Martello e Ballata degli impiccati. [SM=g27988]
Auron114
00mercoledì 30 agosto 2006 17:35
Apprezzo molto la musica di De André, e dire che fino a qualche tempo fa dicevo a mio padre:"Che cos'è questa cosa?????"(ho 17 anni). Mi piace un sacco "Il testamento di Tito"(è bellissimo il remake dei Modena City!!!).E poi non sarei un vero comunista se non ascoltassi De André...
Archimede91
00venerdì 1 settembre 2006 19:52
OK
De andrè e forte ma io preferisco comunque artisti più moderni come Jovanotti Ligabue Cesare Cremonini ecc.. ma soprattutto lo stile mettallaro e house
Caio Logero
00sabato 2 settembre 2006 10:40
Ma hai mai ascoltato De Andrè tu?
Seth Gecko
00lunedì 4 settembre 2006 22:06
è un grande. le canzoni preferisco sono la città vecchia, la ballata dell'amaore cieco, il testamento di tito e la guerra di piero
Caio Logero
00mercoledì 6 settembre 2006 12:57
dei grandi pezzi sicuramente....
Caio Logero
00giovedì 7 settembre 2006 11:31
Questo l'ho copiato da Arena (grazie ad Alkibiades) in Collettivo Anarchico. [SM=g27995]

Infatti contrariamente a Auron114 (che poi è più vicino agli anarchici, mah...), non è comunista ma anarchica il "poeta De Andrè"...

Ecco un suo scritto:


"Attivo
Libero di vivere nella strada

Sono nato il 18 febbraio del 1940 a Genova Pegli, quindi Genova occidentale. Fu una colonia di peglini (o pegliesi) ad aver colonizzato Tabarca, in Tunisia. Intormo al 1700, mi pare che gli Arabi li avessero respinti coi forconi nel culo e quelli lì, prendendo il mare, la prima isola in cui si fermarono fu Carloforte. Allora si chiamava San Pietro eppoi è diventata Carloforte dove si parla infatti ancora il pegliese di quell’epoca [...]

Dell’infanzia ricordo soprattutto la casa di campagna di mia nonna, una cascina: allora le vacanze estive duravano quattro mesi e, a parte quindici giorni di mare, che avevamo sotto, le passavamo tutte in campagna, con mio grande piacere. Lì ho assorbito tutto l’amore, che poi mi è rimasto, per la campagna, la natura, gli animali e la cultura contadina.

Mio padre, contrariamente a quanto per anni è stato scritto, era di origini modeste: il benessere cominciò ad aggirarsi in casa nostra dopo che lui aveva superato i quarant’anni. Forse da queste radici la sua mai abbastanza ringraziata accondiscendenza a lasciarmi libero di vivere nella strada: e nella strada ho imparato a vivere come probabilmente prima di me aveva imparato lui.

Ho fatto il classico al liceo comunale “Cristoforo Colombo”. A Genova ce n’erano tre di comunali: l’”Andrea Doria”, il “Cristoforo Colombo” e il “Mazzini”. Quest’ultimo era molto fuori zona, in periferia; per l’”Andrea Doria” c’era il problema di mio fratello che prendeva 10 anche in educazione fisica oltre che in filosofia e in italiano. Perciò non volendo rischiare confronti sono rotolato al liceo “Colombo” ch’era un po’ distante da casa però ero tranquillo che non mi si metteva in concorrenza con lui.

Al liceo studiavo il meno possibile. Riuscivo a racimolare la sufficienza perché ai professori ero simpatico. E, d’altronde, andare a scuola mi serviva quando, d’estate, cercavo di rimorchiare le ragazze alla Lucciola, una balera alla periferia di Asti. Mi presentavo come uno studente di Genova, il che fa sempre effetto, da quelle parti […]

Ho fatto un po’ di tutto: ho frequentato un po’ di medicina, un po’ di lettere e poi mi sono iscritto seriamente a legge dando, se non mi sbaglio, 18 esami. Quasi laureato dunque […] poi ho scritto Marinella, mi sono arrivati un sacco di quattrini e ho cambiato idea […] dopo che Marinella l’aveva cantata Mina, eravamo nel ’65, io ero sposato da tre anni e lavoravo negli istituti privati di mio padre […]. Lavoravo lì non sapendo cos’altro fare, visto che di laurea non se ne parlava perché stentavo molto a studiare, insomma questa Canzone di Marinella, me la canta Mina, mi arrivano 600 mila lire in un semestre (somma davvero considerevole per quegli anni). Allora mi sono licenziato, ho preso armi e bagagli, moglie, figlio e suocero e ci siamo trasferiti in Corso Italia, che era un quartiere chic di Genova […]. Da quel momento ho cominciato a pensare che forse le canzoni m’avrebbero reso di più e soprattutto divertito di più.

Guarire le persone

Mi ricordo che all’età di circa sedici anni mi ero comperato, dopo aver convinto mia madre, una chitarra elettrica (una Framus, allora una delle migliori) con quegli assurdi amplificatori Davoli (specie di cassette da frutta […]). M’aggregai a un gruppo di ragazzi genovesi che faceva jazz comperandomi pure dei plettri di gomma con l’intento d’imitare le sonorità di Jim Hall (il mio chitarrista preferito) […]

La musica mi sedusse un po’ alla volta, come una troia prudente. Cominciò con qualche mormorio fioco, poi divenne balbuzie e pian piano acquistò la franchezza di un linguaggio che, per quanto elementare, era comunque il mio. Ma la musica fu anche una necessità. Nella mia famiglia tutti si esprimevano in modo non truccato, in assoluta coerenza con le scelte di ciascuno: l’avvocatura, il management, la politica, l’insegnamento. Io non ero capace di esprimermi a quei livelli, con quel misto di vocazione e, si dice oggi, di professionalità […]

Il canto deve in qualche maniera avere come obiettivo quello che anticamente aveva la musica cantata ch’era di far guarire le persone. Quindi deve emozionare e un certo timbro, un certo tono di voce, può essere emozionante, può essere evocativo, può far immaginare di più di un tono piatto, di un timbro metallico. La mia voce poteva essere una voce da sciamano, tanto per farmi capire, dunque mi ha aiutato moltissimo. Che talvolta poi ne abbia approfittato anche in maniera sgradevole questo è altrettanto vero, nel senso che ho esagerato col colorire con note basse dove non ce n’era assolutamente bisogno, proprio per narcisismo, per far sentire proprio queste basse, per sedurre (soprattutto me stesso).

Ci si fa l’abitudine ai concerti. Hai mai visto gli orsi polari dentro i recinti degli zoo? Sicuramente soffrono per i primi anni, ma alcuni di loro sono arrivati a compiere il ciclo naturale della loro vita. Sono morti vecchi come i loro fratelli liberi fra i ghiacci dell’artico. La differenza è che loro, per quella vita di merda, non sono stati pagati.

[…] penso che il fine della canzone sia quello, se non proprio di insegnare, almeno di indicare delle strade da seguire, dei codici di comportamento […] ed è l’unico motivo che mi fa pensare che questo possa anche essere un mestiere serio.

Credo più nel disco come mezzo di comunicazione, che non nel rapporto diretto col pubblico. Preferisco che un ragazzo mi chieda “Nella tua comune agricola c’è posto per me?”, piuttosto che “Ma tu, dopo Spoon River, perché hai cambiato questo o quello?”

Individuo sociale

[…] a certa gente il fatto che mi sia innamorato di Dori dà un fastidio enorme. Il mito è crollato! Si è innamorato della bella ragazza, che credono oca e invece è più intelligente di me. Basta poi che io abbia realizzato un disco come Rimini, malato di un allegrismo che non è mai stato mio, e allora per alcuni è come aver perso una gamba.

Vivere in coppia per me è necessario, ci si aiuta molto, si ha sempre uno specchio nel quale guardarsi […]. È una continua collaborazione, guai se non fosse così. Io sono abbastanza gregario poi come tipo di temperamento anche se per molte ragioni sono invece spesso costretto a diventare un solista. Lo noti anche dal fatto delle mie collaborazioni sempre più frequenti. […] Ho bisogno d’essere aiutato ecco, e non mi tiro indietro quando devo aiutare. Sono un individuo sociale anche se in un modo o nell’altro qualcuno invece mi considera un individualista. Ma non è mica tanto vero…

I miei figli li ho osservati nelle tre fasi di evoluzione della loro vita: quella dell’infanzia in cui li spiavo e li ammiravo per quella loro confidenza con il mistero, quell’enorme momento in cui i bambini sono illuminati da continue scoperte ed invenzioni, quando non conoscono il pericolo e la paura che soltanto il controllo più o meno esagitato dei genitori riuscirà a trasferire nelle loro memorie, col tempo, giorno dopo giorno; i miei figli come suppongo la maggioranza di tutti i nostri figli, sono stati fino verso i dieci anni, due incredibili artisti. Nel periodo dell’adolescenza ho contribuito come tutti i genitori a guastargli la festa, consapevole da un lato che si doveva insegnar loro le regole per vivere in società e dall’altro di togliere loro quella meravigliosa libertà che quasi tutti gli adulti amano scambiare con ciò che chiamano sicurezza. Non credo di esserci andato con la mano pesante, infatti i miei figli sono rimasti due artisti, due persone capaci di convivere con gli altri ma non fino al punto di essere distolti dalla propria immaginazione, dalla propria fantasia e sensibilità. Ho parlato di tutti e due, anche se hanno una differenza di età di 15 anni perché ormai le due prime fasi di crescita le hanno superate entrambi e oggi sono entrambi adulti […]

Vivere tranquillo

Quando arrivai in Sardegna ed acquistai la casa a Portobello di Gallura mi innamorai sia della natura che della gente. Chiesi al tassista che ci veniva a prendere all’aereoporto, se c’era la possibilità di comprare del terreno per farci un’azienda agricola […] non mi dà utili, ci rimetto un sacco di soldi, ma ci guadagno in salute, in felicità.

La Sardegna è un luogo dove le tensioni sociali esistono. Ma sono temperate dal contatto diretto con la natura e da una profonda moralità che si estrinseca nel rispetto di alcuni valori fondamentali, come per esempio l’ospitalità. Per quanto strano possa apparire anche questo ho trovato nei nostri carcerieri.

Passammo quattro mesi sul Supramonte, legati a lettucci di foglie. Il primo mese le emozioni ci tennero compagnia, poi la monotonia prevalse. Al processo perdonammo i carcerieri: dopo tutto non gli veniva lasciato altro modo per mantenere le loro famiglie. Ma non perdonai i mandanti.

Se trovi degli alibi alla persona che ti tratta male e dici “in fin dei conti me lo sono meritato”, ne esci pulito da un punto di vista psicologico. Invece se la consideri un’offesa grave, come in effetti fa la maggior parte delle persone sequestrate; perché tutti lo considerano immeritato, ed è immeritato, ne esci sconvolto. Si vede che ho un cervello che si adatta alle necessità di vivere tranquillo e di non perdere l’autostima, senza andare in depressione.

La ragionevolezza

Direi d’essere un libertario, una persona estremamente tollerante. Spero perciò d’essere considerato degno di poter appartenere ad un consesso civile perché, a mio avviso, la tolleranza è il primo sintomo della civiltà, deriva dal libertarismo. Se poi anarchico l’hanno fatto diventare un termine negativo, addirittura orrendo…anarchico vuol dire senza governo, anarche… con questo alfa privativo, fottutissimo… vuol dire semplicemente che uno pensa di essere abbastanza civile per riuscire a governarsi per conto proprio, attribuendo agli altri, con fiducia (visto che l’ha in se stesso), le sue stesse capacità. Mi pare così vada intesa la vera democrazia. […] Ritengo che l’anarchismo sia un perfezionamente della democrazia.

Fu grazie a Brassens, maestro di pensiero e di vita, che scoprii di essere un anarchico. Mi ha insegnato per esempio a lasciare correre i ladri di mele, come diceva lui. Mi ha insegnato che in fin dei conti la ragionevolezza e la convivenza sociale autentica si trovano di più in quella parte umiliata ed emarginata della nostra società che non tra i potenti.

Penso che chi fa la mia conoscenza rimanga sicuramente deluso. Perché […] non sono un atleta della parola, del dialogo, non sono allenato in tal senso, non faccio il politico né l’avvocato e quindi ho bisogno di riflettere per non dire delle sciocchezze. Se non rifletto facilmente mi escono fuori dalla bocca dei luoghi comuni. Quando cerco di riuscire a portare avanti un discorso semplicemente parlando, dicendo delle parole, per riempire gli spazi di silenzio, o se tento di stringere, dico delle grandi vaccate.

[…] non mi sono mai fatto uno schema preciso di letture. Talvolta mi è capitato di leggere insieme Asterix con Oblomov di Gonc?rov. […] sono abituato a leggere fin da piccolo. In famiglia c’era l’abitudine che fortunatamente si incastrava bene col mio temperamento, perché sono curioso, facilmente impressionabile e tuttora posso dire di leggere quasi un libro al giorno.

Ho sempre avuto due chiodi fissi: l’ansia di giustizia e la convizione, presuntuosa, di poter cambiare il mondo. Oggi quest’ultima è caduta.

Le mie Nuvole sono […] quei personaggi ingombranti e incombenti nella nostra vita sociale, politica ed economica; sono tutti coloro che hanno terrore del nuovo perché il nuovo potrebbe sovvertire le loro posizioni di potere.

In soffitta

Con Creuza de mä spero di ricordare a qualcuno quali siano le nostre radici mediterranee. In una sala del castello della musica, c’è la tradizione anglosassone, in un’altra quella americana, in un’altra ancora l’afrocubana, e poi in soffitta, tra le ragnatele, la musica popolare. Ho dato un calcio alla sua porta sempre chiusa. Per farlo occorreva una lingua popolare, il genovese antico.

Comporre in lingua italiana è difficile proprio tecnicamente. Se devi scrivere in metrica hai bisogno di una gran quantità, ad esempio, di parole tronche che in italiano non ci sono. A questo punto ti succede, proprio per la necessaria avvenenza estetica del verso, di cambiare talvolta addirittura il significato di ciò che vuoi dire. Il genovese invece è una lingua più agile, puoi trovare un sinonimo tronco che abbia lo stesso significato dello scritto in prosa che tu hai fatto precedentemente al verso.

Nomadismo

Qualcuno (mi pare Majakovskij) ha detto “Dio ci salvi dal maledetto buon senso”: se tutti fossero normali e se fossero dotati esclusivamente di buon senso non esisterebbero gli artisti e probabilmente neppure i bambini.

È tempo di nomadismo. Hanno ragione loro, gli zingari. Vivono su questo pianeta da migliaia di anni senza nazione, esercito, proprietà. Senza scatenare guerre. Custodiscono una tradizione che rappresenta la cultura più vera e più semplice dell’uomo, quella più vicina alle leggi della Natura. Andiamo verso un mondo di pochi ricchi disperatamente sempre più ricchi, mentre il resto dell’umanità, quei miliardi di uomini che continuano a chiamare curiosamente “le minoranze” , si muovono in modo molto diverso da quello che consideriamo normale. Vanno verso l’abolizione del denaro, adottano lo scambio, che è già un primo passo in direzione di una maggiore spiritualizzazione, come nelle società primitive. L’uomo, spogliatosi delle pulsioni economiche, si spiritualizzerà di più, tornerà in un primo momento verso un mondo inevitabilmente più arcaico, ma sicuramente verso una guarigione.

Nemmeno un rimpianto

Perché scrivo? Per paura. Per paura che si perda il ricordo della vita delle persone di cui scrivo. Per paura che si perda il ricordo di me. O anche solo per essere protetto da una storia, per scivolare in una storia e non essere più riconoscibile, controllabile, ricattabile.

In questi ultimi tempi ho ripreso a studiare la chitarra. Mi ci sono dedicato praticamente tutti i giorni. Certo, non riprenderò più la mano che avevo a ventidue anni, però non la voglio mollare più, anche perché in fin dei conti è una buona compagna, forse una delle più fedeli. Se la molli un attimo ti fa subito i musi e ti manda a fare in culo, così sei costretto a dei recuperi umilianti, molto più umilianti di quanto si debba fare con le donne.

Io credo che il giorno in cui avrò paura della morte, e vorrà dire che ci comincio a pensare, sarà perché sono diventato finalmente adulto e allora questo significherà che sono prossimo a morire.

Ho più della mia età, ho avuto tempi di invecchiamento più corti della media, forse perché non ho mai rifiutato nessun tipo di esperienza.

Ho sempre impostato la mia vita in modo da morire con trecentomila rimorsi e nemmeno un rimpianto. "

Bello vero?

Auron114
00giovedì 7 settembre 2006 18:57
Dopo questo "testamento" che il nostro caro Caio ci ha postato, devo dire che mi sono impressionato molto, anche perché in molte cose mi trovo in perfetta accondiscendenza con De André.
Per chi comunque non l'avesse ancora capito non sono un comunista alla Lenin, ma sono un comunista per i fatti miei, vicino anche agli anarchici, anche se, come mi ricorda spesso Caio, l'anarchia può essere ancora considerata un'Utopia.
Per il resto mi sono anche commosso nel leggere questo scritto di De Andrè, che può essere considerato un vero e proprio "testamento morale" dell'estinto...

Rispondendo alla domanda di Caio... si, è bello.
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